lunedì 18 luglio 2011

La trottola.



Si erge da terra in forme scarne ed eleganti. Ferro battuto color grigio e verde muschio.  Sembra nata nel medioevo, anno più anno meno. L’acqua fa un gran baccano mentre precipita verso terra e si separa da lei. Ho l'impressione di ascoltare un CD new age e di vedere, a mo' di inserto specialissimo, anche le origini di tutti quei rumori. Testo e contesto, se fosse letteratura.
- La fontana -
Piccole gocce trasparenti schizzano sulle pietre dell’antica piazzola semicircolare di color grigio scuro intorno alla fontana. I vecchi sassi, bagnati, si nutrono di umidità e appaiono più giovani di qualche secolo, come illuminati da una luce temporanea – naturali -
A ritmi alterni ed incostanti altre gocce d’acqua vanno a cadere sull'asfalto, lontano, sdegnando così la  solita, vecchia, rassicurante circonferenza della piazzetta.
- Eroine -
L’asfalto sbuffa, annoiato dai troppi gradi centigradi che il sole impone alla terra da mattino a sera in questo torrido giorno di fine agosto, sembra mal tollerare l’acqua e la sua invadenza. Intanto le gocce arrivano qua e là, come a voler fuggire dalla fontana, riparata dal sole, quindi fresca. Su una panchina in pietra adiacente al muro medievale che circonda la fontana è seduta una donna che medita sul nulla cercando di trovarlo interessante. Quella donna sono io: Femmina, “Glamourosamente” imperfetta. Ambizioni che il tempo ha trasformato in viziate utopie, traboccano da cassetti stantii, e cadono a casaccio sul pavimento. Alcune si fanno persino un po' male, ma è un problema che non mi tocca troppo da vicino. Come la fontana, getto acqua che cade  perpendicolare, eppure spesso finisce a un passo dal traguardo. Le pietre sono la mia meta, la mia direzione, il mio finale più scontato quando le cose si mettono male e spesso, anche quando sembra che tutto sia possibile.

Siedo in un ambiente vuoto e desolato che mi somiglia terribilmente, e ascolto il ritmo con cui l’acqua, partita dal monte, si precipita a terra. Mi distrae il rumore lievissimo di una foglia secca che mi cade vicino a un piede, come un ornamento e intanto sogno di partire.
Devo partire.Voglio partire, e penso, mi chiedo il perché di una foglia secca in piena estate. Le foglie muoiono in autunno, questa è la regola e non ha senso alcuno essere tanto egocentrici. Penso a tutte le volte che una foglia, o più di una, hanno ispirato poeti per opere monumentali: Walt Whitman,Ungaretti, Dickinson.
Perché non me?
Qualche anno fa le ho rese soggetto-oggetto di un mio dipinto, acquarello invero!
Non avevo altro in mente e poi, mi piacciono le pieghe naturali delle foglie. Mi piace il gioco di luci  che queste creano su se stesse - Eterne narcisiste - Mi piacciono le foglie lunghe e sottili che si piegano verso il basso mimando un abbraccio. Ne ho abbozzate a miliardi sui libri di diritto e varie economie, anche su qualche grammatica francese, ma allora mi piaceva accoppiarle con le maschere. Mi piacevano moltissimo, ne ero quasi ossessionata. Volevo fossero il mio soggetto, poi ho scovato un pittore che le maschere le dipingeva in modo spettacolare, erano il suo soggetto, così mi è passata, e con loro, addio foglie.

Una gatta con passo felpato e distratto, mi viene incontro senza esitazioni. Si fida di un'estranea. Fortuna! Pensavo di essere in un paese-fantasma. Attraversa l’asfalto rovente con tutta la calma che si conviene a chi non ha  problemi col sole. Si abbevera in una pozza d’acqua verde di muschio, ai piedi della fontana che mi sta di fronte e poi mi si avvicina lentamente. Si arrotola attorno ai miei piedi e si arruffa tutta. E’ grigia con delle sfumature nere e splendidi occhi azzurri, come il cielo. Una trovatella si direbbe dal suo modo di cercare affetto, o una zitella, come me. L’adoro e non è cosa ovvia come forse potrebbe sembrare. Sarà un maschio? chi lo sa? Gli accarezzo la testa, intanto sul viso mi sorge una smorfia involontaria, quasi a volerlo avvertire che in via del tutto eccezionale sto non pensando che potrebbe avere pidocchi o essere sporco sudicio, possibilissimo, dunque, a mio modo, compio un gesto di affetto disinteressato -Ma non sarebbe male se trovasse il modo di essermene grato.
Il gatto non mi guarda. Ha gli occhi chiusi e sembra stia avendo una specie di orgasmo dovuto al tocco delle mie mani. E' la mia buona azione quotidiana.
Fra esseri umani cose simili non accadono quasi mai, sebbene"quasi" sia più lieve di "mai". Anni fa per esempio, mi trovavo in un parco con un'amica e sua figlia di anni zero, ovvero undici mesi.
Rincorrevamo i piccioni. Lei non era mai stanca e io morivo di paura all'idea che si facesse male. Qualcuno lo chiama istinto materno, io la chiamo paura, semplicemente paura, e va intesa in senso lato. Per gioco, non facevo che afferrarla per paura che cadesse, ma lei non voleva saperne. Mi sfuggiva di continuo finché l'ho raggiunta e l'ho presa in braccio con un gesto deciso. A quel punto, rassegnata alla mia paura, si è guardata attorno in cerca di scappatoie, e mi ha indicato un anziano seduto su una panchina che ci osservava con attenzione da molto tempo ormai. Ci siamo avvicinate, lei gli ha sorriso e l’ha accarezzato. Forse le ricordava il nonno, o più banalmente,  i bambini sanno essere buoni o cattivi senza che occorra un motivo troppo specifico. Gli occhi verdi e spenti del vecchio si sono bagnati un po’, velati, come chi mangia dopo lungo digiuno. Guardava la piccola con una specie di estasi e confusione.
-Grazie, ha detto con voce tremante e con la dolcezza che è propria di chi riceve un dono che non sarà mai in grado di rendere. Lei ha sorriso, non sapeva parlare, non ancora.
Anche i miei occhi prendevano luce nel constatare una volta di più, quanto siamo perdenti noi adulti in termini di umanità,  ma non volevo mostrare emozioni tristi ad una bambina allegra, che somigliava piuttosto al gatto incastrato fra i miei piedi, affettuoso, simpatico. Continuo ad affondare le dita nel pelo dello splendido animale godereccio, e mi viene da pensare a quel giorno surreale. Sarebbe più logico dimenticare, invece ogni tanto ritorna, che sia freddo da morire, o che sia caldo al punto che i capelli si attaccano alla fronte, ogni tanto il mio ricordo ritorna. Nelle orecchie il rumore dell'acqua, che non smette di precipitare giù dal monte. Scende da secoli. Ne ha visti di occhi e di donne lei! Oggi tocca a me.
Quanto allo strano ricordo, ero col mio attuale ex fidanzato. Eravamo in un ospedale per motivi dimenticati e davanti a me c’era una donna anziana tutta dolente. Non faceva che lamentarsi, con gli occhi soprattutto. L'incrociai lungo un corridoio e fui presa da emozioni incontrollabili. Chiesi agli infermieri che le era successo. Quelli mi spiegarono, pensando fossi sua parente, e io piangevo, imbarazzata, ma incapace di smettere. Neanche la conoscevo quella donna malata. Anche lei era sorpresa di trovarsi al centro di attenzioni immotivate ed inattese, forse umane. Sembrava volermi rassicurare. Cercava di dirmi che persino all'inferno ci si può abituare, ma leggevo anche una certa invidia  verso la mia gioventù, e naturalmente non ero in grado di comprendere, di valutare e apprezzare il mio essere giovane e in salute, perché credevo, come tutti del resto, che sarebbe durato per sempre. E' questo in fondo essere giovani, pensare che non finisca mai.

Mi racconto a volte di non conoscere il motivo per quelle lacrime astratte. Il motivo  non era la vecchia, ad essere sinceri, è che sentivo su qualche angolo non definibile d' istinto, che il mio futuro ex-ragazzo non era mio neanche un pochino. Sapevo che stavo religiosamente e stupidamente abbandonando la mia vita, la mia gioia, tutta la mia leggerezza:
- LA DANZA -
Compivo quel sacrificio inutile per uno che, lo sapevo, sarebbe sparito presto. Era molto chiaro almeno quanto era chiara la diagnosi di infermità emotiva a senso unico, la mia.
Piangevo perché sentivo dolori ovunque, come quella vecchia sul letto, ma non c’era un motivo clinicamente dimostrabile, nessuna lesione tendinea o lussazione articolare, così temo di aver usato il dolore altrui, oggettivo, per quei cinque minuti eterni. Piangevo anche perché la morte mi fa paura, molta paura. L’attimo prima, cosa m' inventerò per distrarmi dal buio? Sdrammatizzo pensando a mio padre che, sdrammatizzando, diceva: siccome nessuno è mai tornato indietro, allora  non si sta poi tanto male. E ora che anche lui se n'è andato, non faccio che sperare che in qualche modo avesse ragione. Il gatto si è stancato di me e sta per fuggire via, così lo prendo in braccio, come fosse un bambino, ci gioco un po' e questo basta a farlo accovacciare di nuovo sulle mie gambe. Non contento, si fa le unghie sui miei jeans fino a entrarmi nella pelle. Mi procura una specie di dolore, ma è stranamente piacevole, tant'è che lo lascio fare. Le sue unghie infilzate fra i pori della mia pelle sudata, mi ricordano che sono viva.  

-Vieni con me gatto? Devo partire, lo so, avrei dovuto dirtelo prima. Sbagli a fidarti dei passanti come me. Sbagli a fidarti gatto. Ora ci parlo addirittura! Come se potesse capire. Mi sembra persino che annuisca mentre l’accarezzo, inizio quindi il mio viaggio a ritroso.
L’interlocutore non obbietta, mi sento comunque matta, così smetto di parlare e mi limito al pensiero.
Montagne di aneddoti, ricordi da niente, passeggiate, luoghi, giardini, litri di birra, una certa routine se uno ci pensa. Londra, un anno fa. Non sono mancati momenti neri, ma solo perché la mia natura tende al nero. Per paradosso il grigio della città dava luce ai miei colori. Ricordo però improvvise insofferenze, intolleranze a tutto, al punto che decisi di tornare in Italia per districare certi nodi e poi ripartire. Così me la raccontavo. Intanto, quindici interminabili giorni in cui tutto mi era sembrato troppo bello perché ne potessi più fare a meno, tutti troppo speciali perché me ne potessi mai separare. Poi la festa di addio, e si poteva stare certi che fosse davvero per sempre.
Per questo, davanti ad idee così irrimediabilmente romantiche come: “Per sempre" o "Forever", che è lo stesso, tutte quelle facce mi erano sembrate molto belle e diverse fra loro, tutte profondamente mie, in senso artistico, si capisce!

Il volo, tutto un pianto, persino il cielo era lacrimoso, come me, per tutto quel tempo eterno. All'improvviso tutto sembrava definitivo, e lo era davvero. Finivo un capitolo, lo firmavo e chiudevo un libro, il mio London Time, ma non finisce mai il desiderio di deviare dalla solita, noiosissima retta via che non smarrisco mai a sufficienza. Vorrei il coraggio di quelle gocce sull’asfalto e invece ho solo numeri in testa; lo zero, per esempio!
[(volo + ritorno alle responsabilità) - senso di libertà] = sconforto = zero.
Eccola qui l’equazione. Nero su bianco. Sono una trottola, come quella che un tempo qualcuno mi regalò per correggere la mia natura troppo impulsiva, troppo vivente. Perché poi me la prendo tanto? Voleva aiutarmi a imparare l’essenziale e filosofica arte della riflessione. L’oggetto più odiato di tutta la mia vita! Era come una pigna, verde, piccola come un pugno, in legno leggero, venato…eppure mi sento come lei adesso.

- Metamorfosi avvenuta: Il sodalizio -

Il gatto si è stancato delle mie carezze e con un balzo corre via. Ingrata puttana! Le urlo seccata, decidendo infine che è una femmina. Mi ha sporcato i pantaloni. Mi alzo per lavarmi le mani sotto il getto scrosciante della fontana che, proprio come mezz’ora fa, funge da veicolo al corso d’acqua. Mi lavo le mani in modo minuzioso e per un tempo infinito, fino ad avere la pelle aggrinzita per via dell’acqua che intanto schizza all'impazzata sui miei sandali e sui calzoni.

Si muore di caldo oggi, così decido di bagnare i capelli sotto il flusso d’acqua gelata proveniente dal monte. Idee congelate.
La trottola si è fermata! Alzo la testa e la sgrullo come fossi un gatto. No, Meglio! Come un cane! Anzi... un bel cavallo nero, lucente, indomabile. I capelli, lunghi e bagnati, schizzano gocce sull'asfalto che per chimica reazione, produce nuvolette di polvere ad ogni singolo impatto. Non mi sente nessuno, non mi vede nessuno, e la trottola si è fermata.

Ballo attorno alla fontana…
Plié – un… deux… trois…
Developpé – quatre… cinq… six...
Port de bras …come fosse una sbarra per esercizi e io ancora una ballerina.

Intanto nella mente, composta di materia grigia e molle, Pensieri fissi, scomodissimi, ostinati e monumentali, aggrovigliati  a tutto il resto, a mo' di caos.
Opere universali, eterne, soavi, ed io le so ballare tutte, come fossi all'opera.

Il racconto è stato premiato con menzione speciale al concorso letterario: "Giovanni XXIII" a Modica, Sicilia, nel 2007, ma ho apportato nel tempo qualche modifica rispetto a quella versione e, francamente, per certi versi, ancora non mi convince. Oggi il mio stile è cambiato, e ne sono felice. Ma desidero ricordare questo pezzo della mia strada. 

L'ultima riga del mio racconto è un'omaggio ai versi di Emily Dickinson: 
"Non so ballare sulle punte" di E. Dickinson. (Clicca sul link)

Luisa. 18/07/2011

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