domenica 17 novembre 2013

Lo scafandro e la farfalla

"Ho deciso di con compiangermi mai più" 
Nelle orecchie per tutto il tempo, da qualche giorno:  "Everybody's gotta learn sometiime" . 
Le scaphandre et le papillon - Francese.
The divingbell and the butterfly - Inglese
Lo scafandro e la farfalla - Italiano. 

Per qualche lettore distratto "Lo scafandro e la farfalla" non è che un libro. Per chi va al cinema solo perché è sabato, si tratta del promemoria di un film angosciante visto attorno al 2007, con quella gran fica che si è avuto modo di apprezzare in: "Luna di Fiele" (Emmanuelle Seigner, compagna di Roman Polanski, che il film aveva diretto). Per "my movies" è un film da 3 stelle e mezzo, laddove il massimo è 4, ed a Cannes è stato premiato per la migliore regia. Per gli altri, il solito nì/so/bo. 

Per me è stato un pugno, roba da perdere il respiro durante la visione, al punto di doversi forzare a respirare. E' stato la materializzazione di un incubo paradossalmente grandioso che ha preso vita attraverso le mani di un regista, sotto i miei occhi impotenti e terrificati. Roba da catarsi insomma. 

Julian Schnabel 
Avevo visto il trailer, scoprendo così l'esistenza di questa storia. Sapevo che il film era di Schnabel, un artista e regista che, se solo gli dei mi concedessero l'onore, amerei di tutti gli amori pensati per scambiarsi umanità e martirio, passando per l'epidermide dell'uno, e finendo per forza di cose, dentro a quella dell' altro. "Mi fa sesso", si dice dalle mie parti, ed è strano, perché non sopporto chi si veste con gli scacchi o in pigiama per uscire e soprattutto...questo è divagare.

Avevo intuito la "pesantezza" della trama, così ho rimandato a tempi peggiori. Un film del genere va visto quando si è prossimi alla fine del mondo, perché dopo si potrà godere di una specie di giovamento, ma questo lo posso dire solo ora, col senno di poi. 

Quel giorno è arrivato molto più in là del 2007. Ero in biblio a Pesaro, nella mia amata "San Giovanni" quando l'occhio mi cade sul DVD. Fuori pioveva a dirotto, io ero lì per fuggire da qualche asfissia mentale che ora non ricordo più. Ho pensato che i tempi erano maturi per farsi un giro all'inferno e così ho fatto. 
Nel freddo di una biblioteca, fra gente che mi passava attorno, senza il conforto del buio per piangere indisturbata, ho visto il film che più di altri, da che guardo film, mi è entrato nell'anima. Come non pensare ogni singolo secondo, che avevo davanti agli occhi una storia vera? Reale? Come evitare il transfert, l'empatia, la rabbia, il rancore feroce per ogni forma di credenza irrazionale, per la scienza che è ragione, per il cinema che, stavolta, lo sapevo, non mi avrebbe regalato il conforto di un lieto fine? 

Il libro sarebbe arrivato dopo qualche anno, su un treno per Roma. Ero pronta per rivivere il viaggio del film, del tutto ignara del fatto che con quel libro avrei riso e sorriso. Sono cose diverse. Si dice spesso in effetti, che film e libro... 
Jean Dominique Bauby coi due figli. 

Jean Dominique Bauby, "Jean Do" per gli amici, è l'autore del libro ma anche il suo personaggio principale. Nella sua vita passata è stato giornalista e redattore della prestigiosa rivista di moda: ELLE ed ha vissuto molti dei suoi giorni a Parigi, fra gli agi che la sua condizione economica e sociale gli hanno consentito. Un uomo brillante, padre di due figli, separato e compagno di un'altra donna. Venerdì, 8 dicembre del 1995, è stato colpito da un ictus e l'esito è stato il coma. 

Nei film di solito, andare in coma sembra l'ultimo dei problemi, perché ci si risveglia intatti, identici a prima, e sembra anzi che quella pausa nell'aldilà sia un pretesto formidabile per far capire a tutti gli altri, che razza di perdita sarebbe stata per l'umanità! In pratica, raramente è così. Jean Do si è svegliato dopo 20 giorni, e solo allora si è reso conto di essere paralizzato, menomato, incapace di parlare e del tutto vittima del suo corpo, degli infermieri, della scienza. Scrive infatti: 
"Il progresso delle tecniche di rianimazione ha reso più sofisticata la punizione. Se ne scampa ma accompagnati da quella che la medicina anglosassone ha giustamente battezzato locked-in syndrome. Paralizzato dalla testa ai piedi, il paziente è bloccato all'interno di se stesso, con la mente intatta e i battiti della palpebra sinistra come unico mezzo di comunicazione
Come ha fatto allora a scrivere il libro? 
Senza mani, senza voce, senza nient'altro che una palpebra mobile, e non parliamo del fatto che, a quanto ne so, è finora la sola testimonianza diretta di cosa significhi la parola  "paralisi" al di là del dizionario. Un libro che racconta con dovizia di dettagli, le pareti del purgatorio, i suoi quadri, le sue visioni, la voglia di sfuggire pur nella razionale e cosciente impossibilità di farlo, se non attraverso le farfalle, ovvero la memoria, la mente, l'essenza più friabile e basilare della nostra vita. La mente ci conduce dove crede, solo lei possiede le ali. Lo scafandro invece, è la parte pesante, quella che ti tiene sotto le acque degli oceani, nascosto in una grata affinché nemmeno gli squali possano morderti. Sono due estremi, quello della farfalla e dello scafandro, che hanno qualcosa del giansenismo pascaliano. Un'ellissi fra l'infinitamente grande ed il suo contrario, fra il bianco e il nero, fra il blu del mare e l'azzurro del cielo, fra il bene e il male, fra la quasi vita e la semi morte. 
Un libro unico. Il primo nel suo genere, e se anche ne scrivessero altri, forse è successo, non sarebbe lo stesso. 

Se il dramma di guardare il film si è concentrato nella scena dell'occhio cucito, ed in altre parti,qua e là, il problema, nel leggere il libro, era che non riuscivo a seguire il senso delle frasi, perché, in principio soprattutto, non facevo che pensare alla fatica estenuante con la quale Bauby aveva dettato il suo libro, chiudendo la palpebra nel momento esatto in cui la logopedista pronunciava la lettera giusta: 
E, S, A, R, I, N, T...
"Più che un alfabeto, è una hit parade dove ogni lettera viene classificata a seconda della sua frequenza nella lingua francese... L' orgogliosa J si stupisce di essere stata messa così lontana, proprio lei che comincia tante frasi


Bauby racconta con ironia della complessità della prassi, visto che in pratica è facilissimo sbagliare, e se l'altro non capisce, si finisce con l'equivocare il senso della parola:
"Mentre tentavo di recuperare i miei occhiali, mi hanno elegantemente chiesto cosa volessi fare con la luna..." 
(Lunettes: Occhiali, in francese. Lune: Luna) 

Comunque, per scrivere il libro, che lui descrive come "diario di questo viaggio immobile"... "Nella mente mescolo dieci volte ogni frase, tolgo una parola, aggiungo un aggettivo e imparo il testo a memoria, paragrafo per paragrafo", e poi lo detta. Questa è la genesi del libro e, personalmente, ho trovato strabiliante il risultato. 


Il testo è composto da un prologo e 18 capitoli, brevi, per forza di cose, ma incisivi, ironici, di una dolcezza che non ha mai del compassionevole. Malato o no, Jean Do, è una persona molto ironica, e mi è stato facile averlo in simpatia.

Morirà il 9 marzo del 1997 , dopo un anno e mezzo dal fatto, dopo qualche giorno dalla pubblicazione del libro (Come vivere ancora il vuoto del tempo senza l'impegno estenuante di una trama da raccontare, una lettera la volta?) e quel che ci ha lasciato è questa immensa testimonianza di vita, che, retorica a parte, va intesa in tutta la forza della sua essenza. Un libro che consiglio tantissimo di leggere. Non so se le sfighe degli altri servono a renderci più forti, ma la coscienza che potrebbe succedere anche a noi, non può lasciarci indifferenti e, per un po' almeno, si potrà godere dei privilegi di una visione più relativa dei mostri che, puntuali, popolano i nostri armadi.  

Dovrei forse dire che, finita la visione del film, ho preso la via per la stazione a Pesaro, e se anche era freddo, non me ne curavo. Un passo la volta godevo della facoltà di potermi muovere ed il mio corpo non mi appariva più in funzione "dietologica" o commerciale, ma come uno scafandro abbastanza clemente da farmi vivere non troppo lontano dalle farfalle. Il marasma emotivo si era liquefatto, e per il resto del giorno sono stata in pace. 


Prima di morire Bauby ha fondato la ALIS
Association du Locked-in Sindrome 
Email: contact@alis-asso.fr

Leggo via Facebook, di un'associazione italiana: 
http://www.lisaonlus.org/

Link al trailer in italiano.

Avevo aggiunto altri link relativi a frames di film, ma sono stati rimossi da you tube. Tipico. Uno era: "Ho deciso di non compiangermi mai più", l'altro, "La vita che non ho saputo vivere" e la metafora del ghiaccio che si sgretola. 


Da: Il cinemaniaco.  Un punto di vista. 


Curiosità: La parte di Jean Do era destinata a Jonny Deep, ma siccome era impegnato, il regista ha scelto Mathew Amalric. Cosa buona e giusta! 









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