giovedì 6 febbraio 2014

"Ich Sterbe" Nathalie Sarraute

Da "L'usage de la parole" 

L'autrice:
Nathalie Sarraute, scrittrice francese nata in Russia nel 1900 che approda alle lettere abbandonando la sua ormai avviata carriera di avvocato e diventando (con autori quali Michel Butor, Alain Robbe-Grillet, Jean Ricardou, Claude Simon e altri) uno dei massimi rappresentanti del "Nouveau roman" che significa letteralmente "romanzo nuovo". Tale orientamento si allinea ad una tendenza generale francese degli anni cinquanta e sessanta che invade tutte le arti: Nouvelle vague (per il cinema), Nouveau théatre, Nouvelle critique, il suddetto Nouveau Roman e così via. Trait-d'union fra questi movimenti paralleli e contemporanei, è l'ostilità riservata loro da parte del mondo accademico e non solo. Fu Hémile Henriot che in un articolo su "le Monde" coniò l'espressione "nouveau roman" ma lo fece in termini dispregiativi. Il gruppo raccolse la sfida scegliendo di identificarsi proprio con quell'appellativo. Il nouveau roman produce un romanzo consapevole che si guarda allo specchio, che riflette sul meccanismo della composizione e sui più o meno velati meccanismi che servono a conquistare il lettore. Su tali basi nascono opere "oneste", moderne, usualmente definite difficili, perché appunto, rifiutano ogni semplificazione eppure si tratta di opere molto stimolanti ed effettivamente nuove per contenuti ed eposizione.
I primi libri della Sarraute [Tropismi 1939, Ritratto d'ignoto 1948] passano inosservati. Ripubblicati nel 1957/58 catturano l'interesse anche grazie alla prestigiosa introduzione scritta da Jean Paul Sartre. Inoltre, nel 1956 la Sarraute scrive un saggio "l'era del sospetto" in cui svela i meccanismi della sua scrittura e spiega le fonti che l'hanno ispirata.
nel 1963 pubblica "I frutti d'oro" e il testo gli vale un "Prix intérnational de littérature". L'autrice è oggi conosciuta nel mondo come una delle più importanti scrittrici francesi. Autrice di romanzi, testi critici e opere teatrali, passò gli ultimi anni della sua vita scrivendo in modo maniacale, ovvero due ore al mattino, tutti i giorni. Muore nell'ottobre del 1999, insieme col secolo che l'aveva generata.
Alcuni titoli: Ritratto d'ignoto, Martereux, l'era del sospetto, il planetario, fra la vita e la morte, voi comprendete?, dicono gli imbecilli, l'era del sospetto, e opere teatrali quali il silenzio, la menzogna, Isma, è bello, lei è là, per un si o per un no.


L'opera:
Da "l'uso della parola", 1980, Ich sterbe.
Ich sterbe. Che significa? Sono parole tedesche che significano io muoio. Da dove arrivano, perché all’improvviso? Lo vedrete, abbiate pazienza. Vengono da lontano, ritornano (si dice infatti:“ mi ritorna in mente ”) da inizio secolo, da una città termale tedesca. Provengono in verità, da molto più lontano … tuttavia, non affrettiamoci, partiamo da ciò che ci è più vicino.
Dunque, a inizio di questo secolo -nel 1904, per l’esattezza - in una camera d’albergo di una città termale tedesca, un uomo morente si è drizzato dal suo letto. Era russo. Conoscete il suo nome: Tchekhov, Anton Tchekhov, uno scrittore di grande reputazione, ma poco importa all’occorrenza, potete star certi che non pensasse a lasciarci un’ultima parola celebre in punto di morte. No, non lui, sicuramente no, non era affatto il suo genere. La sua reputazione non ha qui altra importanza se non quella di aver permesso che tali parole non si perdessero come invece sarebbe accaduto qualora le avesse pronunciate uno qualsiasi, un morente qualsiasi, solo a questo si limita la sua importanza. Qualcos’altro importa. Tchekhov lo sapete, era medico. Era tubercolotico, e si era recato in quella città termale per curarsi, in verità, come aveva confidato ad alcuni suoi amici con quell’ autoironia, con quella feroce modestia e quell’ umiltà che gli conosciamo, ci era andato per “crepare”. “Vado a crepare laggiù” gli aveva detto. Un medico dunque, e nei suoi ultimi istanti di vita, avendo sua moglie da un lato del letto, e un medico tedesco dall’altro lato, si è drizzato, si è seduto ed ha detto
non in russo, non nella sua lingua, ma nella lingua dell’altro, il tedesco, ha detto a voce alta ed articolando bene “ Ich Sterbe ”. Ed è ricaduto, morto.

Ed ecco che tali parole, pronunciate su quel letto, in quella stanza d’albergo, da tre quarti di secolo ormai, ritornano spinte da chissà quale vento … a posarsi qui, una piccola brace che annerisce, che brucia la pagina bianca … Ich sterbe.

Saggio. Modesto. Ragionevole. Sempre così poco esigente. Si accontenta di quel che gli si dà… ed è così sguarnito, privo di parole … non ne ha … questo non somiglia a nulla, non ricorda niente che sia già stato raccontato prima, o immaginato … E’ il tipo di cose per cui sicuramente, si è soliti dire che non ci sono parole esatte per raccontarle … non ci sono più parole qui … ma ecco che vicino, a sua disposizione, pronta da servire … con questo astuccio, i suoi strumenti … ecco una parola tedesca di buona fabbricazione, una parola di cui questo medico tedesco si serve correntemente per constatare un decesso, per annunciarlo ai parenti, un verbo solido e forte: sterben … grazie lo prendo, saprò a mia volta coniugarlo correttamente, saprò servirmene come si deve e saprò saggiamente applicarlo a me stesso: Ich sterbe.
Mi appresto io stessa ad operare … non sono forse un medico a mia volta? … la messa in parole … un’operazione che va a mettere ordine in questo disordine senza confini. L’indicibile sarà detto. L’impensabile sarà pensato. Quello che è insensato sarà ricondotto alla ragione. Ich sterbe.

Ciò che in me fluttua … molleggia … vacilla … trema … palpita … freme … si sfalda … si disfà … si disintegra … no, non questo … niente di tutto ciò … cos’è? A, ecco, è qui, viene a rannicchiarsi qui, fra queste parole nette, asciutte, ne assume la forma. I contorni sono ben tracciati. S’immobilizza. S’ irrigidisce. Si placa. Ich sterbe.

Trascinato, travolto, mentre cerco di trattenermi afferrandomi, aggrappandomi a quel che spicca lì sul bordo, questa protuberanza … pietra, pianta, radice, zolla di terra … lembo di terra straniera ... di terra ferma : Ich sterbe.

Nessuno fra quelli arrivati fin là dove io sono, non ha potuto … ma io, raccogliendo le forze che mi restano, tiro questo colpo di fucile, invio questo segnale, un segno che chi mi osserva da lì sotto riconosce così presto … Ich sterbe … Mi capite? Sono arrivato all’estremità, sono sull’orlo … qui dove mi trovo è il punto estremo … è qui che si trova il luogo.

Ich sterbe. Un segnale. Non una richiesta d’aiuto. Lì dove mi trovo non ci sono soccorsi possibili. Più nessun ricorso. Sapete come me di che si tratta. Nessuno meglio di voi sa di che parlo. Ecco perché è a voi che lo dico: Ich sterbe.
A voi, nella vostra lingua. Non a lei che è là, vicino a me, non nella nostra lingua. Non con le nostre parole troppo dolci, con parole assopite, ammorbidite a forza di esserci servite , di essere state spinte nei cumuli zampillanti che scaturivano dalle nostre risate quando ci lasciavamo cadere senza forze … oh fermati, oh muoio … parole leggere che lasciavamo scivolare fra i nostri mormorii col cuore ansimante per eccesso di vita, e lasciavamo che si esalasse nei nostri sospiri … muoio.
Che dici mio caro, non sai quel che dici, non esistono “io muoio” fra noi, non c’è che “noi moriamo” … ma questo non può succederci, non a noi, non a me … sai bene quanto ti sbagli quando vedi tutto nero, quando hai i tuoi momenti di disperazione … e tu sai, noi sappiamo, abbiamo sempre visto tu ed io, come dopo tutto si sistema … bene, bene, ti capisco, ma soprattutto non stancarti, non eccitarti così, non sederti … non va bene per te … lì, lì, si capisco, si hai male, si è penoso … ma passerà, vedrai, come tutte quelle crisi le altre volte … ma soprattutto riaddormentati, non muoverti, stai calmo.
No, le parole che ci dicevamo, troppo leggere, troppo molli, non potrebbero mai oltrepassare quello che si apre fra noi adesso, si allarga … un’immensa apertura  ... servono parole compatte e pesanti che non abbiano mai percorso alcuna ondata di allegria, di voluttà, che non abbiano mai fatto battere alcun polso, vacillare alcun soffio … parole lisce e dure come il gioco basco della pelota, che lancio con tutte le mie forze a lui, un giocatore ben allenato che si tiene ben posizionato e le riceve senza cedere proprio lì, dove esse devono cadere, nel fondo solidamente intrecciato della sua cesta.
Non le nostre parole, ma parole di circostanza solenni e gelide, parole morte di lingua morta.

Da anni, mesi, giorni, da sempre, era là, alle spalle, il mio rovescio inseparabile … ed ecco che in un colpo solo, con queste due semplici parole, in uno sradicamento terribile, tutto intero mi volto … Lo vedete, il mio rovescio è diventato il mio dritto. Sono quello che dovevo essere. Infine tutto è tornato alla normalità: Ich sterbe.

Con queste parole ben affilate, con questa lama d’eccellente fabbricazione, lei non m’è mai servita, niente l’ha smussata; anticipo il momento ed io stesso sentenzio: Ich sterbe.

Pronto a cooperare, così docile e pieno di buona volontà, prima che lo facciate voi, mi metto al posto vostro, distante da me stesso, e nella stessa maniera in cui lo fareste voi, negli stessi termini rispetto ai vostri, delibero la costatazione.

Riunisco tutte le mie forze, mi sollevo, mi vesto, sparo su di me, abbasso su di me la lastra, la pesante pietra tombale … e affinché ella si sistemi con esattezza, mi allungo sotto di lei…

Tuttavia forse … quando sollevava la lastra, quando la sollevava di peso su se stesso, e stava per riabbassarsela addosso … appena poco prima di ricadere sotto di lei … c’è stata può darsi, come una debole palpitazione,  un fremito appena percepibile, una traccia infima di aspettativa di vita … Ich sterbe … e se colui che l’osservava, e che solo poteva sapere, si fosse interposto, se lo avesse impugnato fortemente, trattenendolo … ma no, più nessuno, alcuna voce … è già il vuoto, il silenzio.


Non sono questi, lo vedete, che lievi tumulti, brevi ondulazioni captate fra tutte quelle, innumerevoli, che tali parole producono. Se qualcuno fra voi trovasse questo gioco distensivo, potrebbe – occorre tempo e pazienza- divertirsi a scoprirne altre di parole. Potrebbe in ogni caso essere certo di non sbagliarsi, tutto ciò che scorgerebbe è in ognuno di noi: dei cerchi che si allargano quando, lanciati da così lontano e con tale forza, cadono in noi e ci  scuotono da cima a fondo queste parole: Ich sterbe.




6 commenti:

  1. Un'autrice che non conoscevo... la sua scrittura mi piace, merito anche della bella traduzione? ;)
    o.

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    1. Troppo buono. Grazie!
      Di lei mi affascina la personalità, ed il contesto artistico nel quale nasce. La sua scrittura si vuole difficile al punto che per capirci qualcosa (Parlo di "I frutti d'oro" in particolare, che ho trovato noioso), serve un manuale d'istruzioni -spesso-
      "Portrait d'un inconnu" invece -ritratto d'ignoto- è interessante perché riprende la storia di Balzac "Eugénie Grandet" in cui viene presentato un padre estremamente avaro e duro con la figlia, e nelle mani dell'autrice, questa figura odiosa, se possibile diventa ancora più odiosa, salvo poi svelare alla fine, che la sua smania di possesso per le cose, è dovuta alla paura della morte, quindi l'avarizia acquista una "corposità psicologica", se questa è l'espressione giusta per raccontare quel che ho letto.
      I suoi saggi li trovo interessanti perché di-vaga fra la gente e sulla gente. Scriveva nei bistrot (cosa che adoro) e studiava le persone "a tavolino" e dal tavolino. Cercava un nuovo modo di raccontare la vita, il che, per un artista serio, è sempre il meglio che si possa fare, e mettici che ha smesso di fare l'avvocato per scrivere. Rimasi impressionata nel leggere da qualche parte che era una maniaca del lavoro, e che "ogni giorno" scriveva tipo dalle otto alle dieci del mattino, festivi e feriali... TUTTO QUA? Da un maniaco mi aspetto... Balzac! Ovvero tre ore di sonno al giorno, e il resto follia!! Però pensandoci meglio... era una folle! Sebbene, il dilemma che più mi tormenta è... io, in tutto ciò, come posso catalogarmi??
      :-)

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  2. tre ore di sonno balzac? a ben vedere non dovrebbe sorprendere, visto quanto ha prodotto nella sua "carriera" di scrittore! :)
    o.

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    1. Sono stata nella sua casa/Museo a Parigi, e ci ho trovato un'aria "irrequieta". Per me la sua anima è ancora lì, da qualche parte, che scrive tomi di commedie umane e non si capacita che nessuno si accorga di lui!

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  3. chissà se avrà apprezzato di essere entrato nella storia della letteratura mondiale.. :)
    o.

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    1. non saprei! Di certo io ho apprezzato di poter entrare a casa sua!!!

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