Possiedo questo piccolo mondo in questa piccola mano situata davanti ad un piccolo dipinto ed un piccolo disegno contenente una vecchia storia, in una piccola stanza, in cima ad una grande libreria che dà su una grande finestra, mentre in TV si parla di donne immense, larghe come continenti, delimitate da confini invalicabili.
Vite al limite, e poi?
Mondi sommersi nell'adipe, galere ambulanti, psicopatologie di gruppo, sociologia della materia ingoiata, volgare bulimia, violenza estrema subita due volte, da fuori e da dentro, raccolta in sacchetti o su piatti pieni. Segue incessante masticazione, resa possibile dal costante "aiuto" di bipedi ambulanti ad infermi inchiodati nei loro letti, tipo esilio volontario dal proprio possibile.
Uomini malsani attratti da donne immobili e sformate, anestesia dei sentimenti, del possibile. Dolore non raccontabile ingrassato ai massimi livelli. Mondi enormi, che non possono essere contenuti da quelle dita, troppo larghe, troppo impegnate a prendere cibo da masticare. Mani di legno che provano a picchiare su pareti di lardo ormai stratificato che non sente più nulla se non il senso del limbo, che recita incessante:
"Così non si va avanti, da qui non si torna indietro".
Non resta che l'ultima spiaggia, il bisturi, preceduto dalla gogna mediatica per ottimizzare i costi di interventi ad altissimo rischio, e poi la lama del dio dei grassi, che segna nuovi confini su terre devastate.
Solo due su dieci nel lungo periodo sopravvivono a loro stessi. Non conosco tragedie peggiori dell'autoannientamento. Nessuno può salvare nessuno, se il nemico risiede nello corpo della vittima.
Vite a limite, è una trasmissione drammatica, dai toni shakespeariani. Roba amletica, stile "Essere o non essere" e la risposta è non essere, ma provarci come se avesse senso.
Anche questa è guerra, e richiede liberazione, compassione, che è passione da condividere, non da alimentare.