sabato 19 febbraio 2011

Tutto torna.. di Giulia Carcasi.

Tutto torna 
Giulia Carcasi
 Feltrinelli
2013 
Tutto torna. Terzo libro di
Giulia Carcasi.
2013
Feltrinelli

Alcuni testi mi ispirano simpatia a priori, come accade con certe persone, che mi conquistano prima ancora di conoscerle. Non capita spesso, ma è una sensazione piacevole. Sarebbe interessante indagare sulle ragioni di queste misteriose attrazioni. Forse il titolo, l’immagine in copertina, la casa editrice, il breve incipit scritto nel retro, o l’insieme, cioè le stesse ragioni che mi spingono verso un estraneo.  E’ come se a livello inconscio avvertissi che lì dentro, nel libro o nella persona, ci sono cose che riguardano anche me.

Il titolo mi ha fatto pensare ad "Ish sterbe", saggio di Nathalie Sarraute, che significa “Io muoio”, o meglio, "Crepo". Questo saggio inizia con una riflessione in merito alle parole che ritornano dal nulla, all'improvviso
“...Ils viennent de loin, ils reviennent (comme on dit “cela me revient”. Ils viennent, maschile, perché in francese "le mot" cioè, la parola, è maschileAllego a fine  post, un link alla mia traduzione, dal francese all'italiano, del saggio. 
 Finto di leggere Tutto torna, confermo la pertinenza di questa spontanea associazione. 

📗🔍
Mi trovo in un supermercato per comprare cose utili alla vita pratica. Nel mucchio dei libri esposti, mi colpisce l’immagine di questa specie di cigno nero ...scoprirò fra qualche pagina che si tratta di una cicogna. “Le cicogne nere sono tornate”, dal titolo di un articolo di giornale, e la cicogna mi fa pensare alla nascita, così come me la raccontavano da piccola, fra ortaggi e volatili. Il tempo di leggere le prime due pagine, su una mamma che piange disperata perché ha perso il figlio, ovvero la memoria del figlio, e sono già alle casse, curiosa di sapere come andrà a finire.
Il fatto che sia  della Feltrinelli, ha per me un valore aggiunto, e anche questo non so bene spiegarlo.
Quanto al libro, apprezzo lo stile attento e conciso.

Leggere questo lavoro mi è molto piaciuto, eppure dal giorno in cui l’ho comprato a quello in cui l’ho letto è passato del tempo. Più di un mese. Aspettavo il momento propizio, anzi no. Ero alle prese col mio primo, serio "blocco". Non riuscivo a leggere niente, per vari motivi.

Il momento giusto è arrivato l’altro ieri, mercoledì 16 febbraio 2011, mentre ero su un treno per Roma. Di solito, quando viaggio porto via almeno un paio di libri e qualche rivista, per poi ... preferire la musica e viaggiare con la testa mentre guardo il paesaggio che mi scorre veloce sotto gli occhi o mentre osservo le persone in viaggio attorno a  me cercando di indovinarle. Sul treno mi sento a casa, e questo viaggio non è come tutti gli altri. E' un viaggio importante e sarà per sempre legato nella mia memoria,  con l'idea che Tutto torna, libro alla mano.
Anche Diego e Antonia si conoscono in treno. Loro sono pendolari e viaggiano fra  Pisa e Roma e viceversa, io parto da Ancona e non incontrerò nessuno. 

La storia che ci racconta Giulia Carcasi è scandita da un ritmo emotivo e cronologico preciso:
Il primo aneddoto narrato accade il 12 settembre 2008 a Roma, l’ultimo è datato 4 aprile del 2009, sempre a Roma. Quasi sette mesi, ovvero il tempo impiegato da due estranei per incontrarsi, attrarsi, innamorarsi e conoscersi. Quasi il tempo di una gravidanza, cioè il ciclo che la natura impiega per attaccare pezzi di DNA che di lì a poco saranno vita a sé.

I personaggi chiave sono: Diego, la madre di Diego, la sua badante, Antonia e ...il treno.
Lui è un insegnante universitario a Pisa, sta lavorando alla realizzazione di un dizionario, che è “il” libro per antonomasia, giacché sta all'origine di tutti gli altri libri.

Si può conoscere un numero infinito di vocaboli, si può conoscerne esattamente il significato di ogni parola, eppure ci si può trovare come bambini ingenui davanti a ciò che non sta scritto da nessuna parte e che parla tante lingue insieme. I libri li sanno leggere tutti, ma per leggere le persone servono altri criteri.
Interessante : Si dice di qualcosa che non interessa” diceva Antonia facendomi il verso.Telefono ... non hai scritto che squilla, dice Antonia...

Per Diego la parola è un mestiere ed un riparo dall'incerto della vita. I suoi allievi per gioco gli spostano le lancette dell’orologio in aula, e lo scarto fra le lancette dei due orologi, quello sul muro e quello che ha sul polso, somiglia al tempo che perde, malgrado i suoi sforzi di ottimizzarlo.
Si può essere in orario e anche in anticipo? A quanto pare si può, ma è facilissimo perdersi dentro quel magico quarto d'ora che non appartiene a nessuno.
“C’è un tempo che non è sul mio polso e non è sull'orologio di un muro, c’è un tempo scritto da qualche parte, vieni fuori e scoliamolo. Ho capito che non me ne faccio niente del significato delle parole, me ne faccio qualcosa del significato delle persone. Ho capito che a tutto si può rimediare, tranne al bene. D’accordo Antonia, ho imparato la lezione, non voglio essere migliore per qualcuno che non sei tu... nella confusione tu hai dato tutto, e io nel mio ordine, non so, dubito. ”
Chi è Antonia?
Una ragazza che Diego conosce su un treno che da Pisa è diretto a Roma. Lui ha un malore e lei lo soccorre.
Sto facendo un lavoro per un centro di recupero” dice lei. 
Lui pensa che lei sia un medico, e lei lascia che lo creda.
In comune hanno un quaderno identico con contenuti diversi. Lui ama la musica classica, lei quella con “le parole”, anche se è lui che lavora con le parole. Lei è spontanea, misteriosa, spesso è divertente. Lui è un tipo preciso, enigmatico, riflessivo. Lei è anima, lui è ordine.

Diego ha un padre freddo, praticamente inesistente e una madre che soffre di una malattia che la riporta sempre al passato. Antonia le è simpatica da subito. 
"Quanti anni hai? le chiede mia madre senza che c'entri nulla. "Trentaquattro" risponde Antonia. Mia madre sorride con l'entusiasmo di chi scopre di avere qualcosa in comune. "Sai, ho avuto anch'io trentaquattro anni una volta". "E come eri ?" chiede Antonia incuriosita.... "Ero alta".
Verso la fine, la madre dirà ad Antonia:
“ Non mi ricordo come ti chiami, però so chi sei”
Quanto a Diego, in merito ad Antonia:
“Mi faccio molte domande su di te, a te invece ne faccio pochissime. Il guaio è che più chiedo, più mi coinvolgo.Vorrei che tu fossi insulsa o speciale”. E ancora...“ Non voglio sognare il suono della tua risata tutta la notte, tutto ciò che non sei ti allontana da me. Non mi voglio ingannare, caccio i pensieri per accogliere te. Voglio vederti solo quando vieni. Quando vieni? Voglio ascoltarti solo quando vieni, quando vieni?”
Antonia è una bugiarda patologica, si inventa la verità che più le piace, perché è rimasta traumatizzata da un’ingiusta punizione subita a scuola quando era piccola. A Roma non ci va per fare il medico, ma frequenta un centro per farsi aiutare ad essere più coerente verso gli altri abitanti del mondo reale. A Diego però non dice bugie, si limita a omettere certe verità. Quanto al suo amore per lui, e per la madre di lui, c’è un ché di molto reale, di profondamente vero.
“Tu quando torni? Chiede mia madre ad Antonia. “Presto” risponde lei, ma non in quel modo che fa venire l’ansia di chiedere: presto quando? in un modo suo che basta ad essere certi che verrà.”
Il suo è un amore “pratico”, essenziale... che risulta veritiero al di là delle parole, perché è tangibile.

Il finale non è quello che mi aspettavo, forse è la parte più debole, ma non mi va di dargli importanza. Mi piace lo stile con cui le cose vengono scritte, mi piacciono molte frasi del libro che ricordano un modo molto attuale di incontrarsi-scontrarsi con gli altri, e vorrei citarle tutte, perché sono molto belle, ma non posso, perché sarebbe come riscrivere il libro a pezzi.

Quanto alla storia fra i due, in pratica, la bugia più irreparabile e dolorosa l’ha detta lui, l’uomo di “parola” e rimediare non gli sarà in alcun modo possibile. Lei invece ha fatto il possibile per tenerlo con sé, per vivere questa complicità.
“Sai Diego, ho paura che un giorno, dopo esserci tanto mancati, ci chiederemo se potevamo fare qualcosa concretamente invece di mancarci senza far niente”. Quando parla dà l’impressione di parlare anche a sé e questo fa sembrare le sue parole vere. Ma quelli di cui parla non eravamo noi, erano una specie di me e di lei. Ero io nonostante me, e lei nonostante sé. “stai facendo una cazzata". "E dove sta scritto?” le chiedo.
Antonia mi guarda con rabbia, chiede una penna alla commessa, “smettila” le dico, mentre su un tovagliolo scrive in maiuscolo: STAI FACENDO UNA CAZZATA! “E’ scritto qui” dice con odio, “adesso che è scritto è più vero?”...
Lui:
Ho visto migliaia di film, letto centinaia di libri, senza chiedermi se fossero veri. Mi bastava di una storia che fosse bella. A un’emozione non ho chiesto documenti. Perché non può essere così anche con le persone? Mi sono commosso in un cinema e davanti a una pagina, ma se penso a quando mi sono commosso davanti ad Antonia, mi sento stupido e non riesco a sopportarlo.

Non è una banale storia d’amore, ma una storia sulla inevitabile banalità con cui a volte ci perdiamo la vita mentre questa accade.

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